Qualche anno fa lungo le principali strade di Roma campeggiava un cartellone pubblicitario che suggeriva di acquistare bolli e francobolli, apparentemente introvabili, attraverso un sito: Che fortuna, verrebbe da dire. Certo, ma la fortuna ha anche un sinonimo, riferito tradizionalmente a una certa parte del corpo. E su quel cartellone spiccava un sedere femminile, a malapena coperto, con la scritta “Che cxxo!”
Di esempi se ne potrebbero fare tanti, come ad esempio la pubblicità di una catena di gioiellerie apparsa alla fermata metro Duomo a Milano, che recitava così: “Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale…: secondo te cosa la farebbe felice?”. In realtà, quello che farebbe felice tantissime donne sarebbe non vedere più oggettivizzato il proprio corpo, o meglio ridotto a pezzi dal punto di vista fotografico e quindi decontestualizzato, magari solo per pubblicizzare un’auto.
Il dl Infrastrutture, di fresca approvazione, recita: “È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”. Su questo ha protestato Fratelli d’Italia, che ha parlato di “nefasta ideologia gender e di una sorta di ddl Zan mascherato”.
Stereotipi che, se fossero applicati, impedirebbero alle donne l’accesso alla politica. E allora, invece di capo di FdI, Donna Meloni d’Italia, dovrebbe occuparsi della segreteria e di portare i caffè al capo. Maschio, naturalmente.
Il commento in podcast di Stefania Catallo alla notizia, a questo link.
(6 novembre 2021)
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